Alice
[APPOGGIARE] le mani e la macchina sul bordo del letto, lì dove le lenzuola, sollevate al centro dalla sagoma di sua madre,
[APPIATTIRSI] di nuovo.
Veniva ogni giorno a non fare nulla. Le infermiere
[OCCUPARSI] già di tutto. Il suo ruolo era quello di parlare a sua madre,
[IMMAGINARE]. In molti lo fanno, si comportano come se i malati
[ESSERE] in grado di ascoltare il pensiero, in grado di capire chi sta in piedi di fianco a loro e dialoga nella propria testa, come se la malattia
[POTERE] aprire tra le persone un diverso canale di percezione.
Alice non
[CREDERCI] e in quella stanza
[SENTIRSI] sola e basta. Di solito restava seduta,
[ASPETTARE] che
[PASSARE] mezz'ora e poi usciva. Se
[INCONTRARE] un medico
[CHIEDERE] notizie, che tanto erano sempre le stesse. Le loro parole e le alzate di sopracciglia volevano dire soltanto aspettiamo che qualcosa
[ANDARE] storto.
Quel mattino, però,
[PORTARSI] una spazzola. La
[PRENDERE] dalla borsa e delicatamente, senza graffiarle il viso,
[PETTINARE] i capelli di sua madre, almeno quelli che non erano schiacciati sul cuscino. Lei era inerte e remissiva come una bambola.
Paolo Giordano. La solitudine dei numeri primi