Nelle pagine che seguono non vorrò
indulgere a descrizioni di persone - se non quando l'espressione di un
volto
, o un gesto, non appariranno come segni di un muto ma eloquente linguaggio - perché, come dice Boezio, nulla è più
fugace
della forma esteriore, che
appassisce e muta come i fiori di campo all'apparire dell'autunno, e che senso avrebbe oggi dire dell'abate Abbone che ebbe l'occhio severo e le guance pallide, quando ormai lui e coloro che lo
attorniavano
sono polvere e della polvere il loro corpo ha ormai il grigiore mortifero (solo l'animo, lo voglia Iddio,
risplendendo di una luce che non si
spegnerà mai più)? Ma di Guglielmo vorrei dire, e una volta per tutte, perché di lui mi
colpirono
anche
le singolari fattezze , ed è proprio dei giovani legarsi a un uomo più anziano e più
saggio
non solo per
il fascino
della parola e l'
acutezza
della mente, ma
pur
anche per la forma
superficiale
del corpo, che ne risulta
carissima
, come accade per la figura di un padre, di cui si studiano i gesti, e
i corrucci , e se ne spia il sorriso - senza che ombra di
lussuria
inquini questo modo (forse l'unico purissimo) di amore corporale.
Umberto Eco. Il nome della rosa.