Un caldissimo giorno d’estate, in Iran, mi sono recata al centro religioso di Qom assieme a Nahid Aghtaie, una studentessa di medicina che (abbandonare) gli studi a Londra per ritornare in patria e prendere parte alla rivoluzione islamica.
Gli iraniani in genere non permettono ai non musulmani di entrare in templi importanti, ma Nahid, dicendo che questa regola non (provenire) dall’Islam ma dalla ristrettezza mentale, aveva insistito perché la ignorassi.
Mentre Nahid (fare) le abluzioni per la preghiera, io (girellare) per l’ampia corte anteriore della moschea, osservando le famiglie che (disporsi) a fare un picnic in quel luogo riparato, ricoperto di piastrelle azzurre. Alla fine (rendersi conto) che un uomo con un turbante mi stava inseguendo. Era un giovane con una barba a ciuffi, che (indossare) la veste grigio chiaro e i manto nero del clero iraniano in via di addestramento. Mentre (voltarsi, io) (fare, lui) un passo verso di me e mi ha sussurrato qualcosa in lingua farsi. Io credevo che si fosse accorto che non (essere) musulmana e mi chiedesse di andarmene.
Mesi dopo, nel descrivere la bellezza di quel luogo a un’amica iraniana, le ho raccontato che (rischiare) di essere cacciata via da un mullah. Ciò che mi (chiedere) era un invito a un contratto che esiste esclusivamente per gli sciiti e che si chiama sigheh. “Probabilmente (mettere, tu) il chador nel modo sbagliato”, (spiegare) la mia amica. “È uno dei segnali usati dalle donne che sono in cerca di un sigheh”.
G. Brooks. Padrone del desiderio. L’universo nascosto delle donne musulmane