[...] Mi ritirai tardi, saranno state le tre e subito cominciai a fare sogni terribili. Mi ricordo l’ultimo che feci prima di svegliarmi. Mi (parere)
di essere davanti alla casa di quel Tocci, dalle parti di Sant'Oreste. (Esserci)
un albero, un castagno, i cui rami (scendere)
fino a toccare la casa; e tra le foglie (esserci)
tante castagne. Tutto ad un tratto (cadere)
una di quelle castagne e, cadendo, (sfuggire)
via verso una piccola porta a fior di terra la quale, come (sapere)
, (portare)
alla cantina. Io (seguire)
la castagna e la (vedere)
cadere giù per la scala e, volendola prendere, (scendere)
anch’io in cantina. Ma la castagna mi (sfuggire)
rapida e brillante, e poi, d’improvviso, alle mie spalle, la porta (chiudersi)
e io (trovarsi)
al buio e non (vedere)
più niente e (cominciare)
ad agitare le braccia per cercare la porta della cantina. Mi era venuta una paura terribile perché (essere)
chiuso sotto terra e così cominciai ad urlare. Ma più (urlare)
e meno mi (parere)
di urlare e la voce, come mi (uscire)
di bocca, non (essere)
più voce ma silenzio. Finalmente mi svegliai che (urlare)
davvero e (cercare)
di accendere la luce al capo del letto.
Alberto Moravia. La paura