SENZA FRETTA VERSO L’ETÀ ADULTA
Per un quarto di secolo gli studiosi italiani hanno come un calzino i comportamenti riproduttivi delle donne e delle coppie, interrogandosi sulle mille ragioni del basso numero di figli nel nostro Paese. Un altro del complesso puzzle è stato aggiunto con una recente indagine sul «diventare padri». Un che gli uomini italiani festeggiano sempre più tardi: la prima nascita arriva in media verso i 35 anni, assai più in là di quanto non avvenga negli altri paesi europei. E più tardi arriva il primo nato, meno figli si al mondo. In parte questo è dovuto al fatto che i padri “tardivi” antepongono la propria professionale ed economica alla formazione della famiglia e della discendenza. Ma in parte il molto attendere prima di la paternità è la conseguenza del protrarsi del cammino verso l’età adulta, e del venir meno degli impulsi spontanei e poco razionali propri delle età più giovani.
Aspetti ben noti, si dirà. Come ben noto è il fatto che i giovani compiono il percorso di transizione età adulta passo dopo passo - studio, lavoro, uscita dalla casa dei genitori, matrimonio, figli - e che ogni passo prende loro più tempo di quanto non ne trent’anni fa ai loro genitori. Questa constatazione non deve indurre a giudizi moralistici, ma a cercare di le cause della lentezza della transizione. I nostri giovani hanno tassi di occupazione più bassi dei loro coetanei europei e il loro benessere - certamente non inferiore a quello dei giovani di altri Paesi - è dalla famiglia. Poco guadagno significa poca autonomia e poca autonomia significa poco potere. Si usa dire che occorre investire sui giovani che sono, oggi, rara. Ma più che investire, occorre «potenziare» i giovani - metterli in , cioè, di contare e di decidere - nel lavoro, nella vita sociale, in quella politica, nelle scelte familiari e riproduttive.
Massimo Livi Bacci