Tutti i colori di un grano di pepe
La più antica delle spezie, che non ha mai subito crisi, è senza il pepe. Noto nei paesi del bacino del Mediterraneo dai tempi di Alessandro Magno, il pepe è stato in passato anche causa di guerre e utilizzato moneta di scambio.
Nella bottega di famiglia di un personaggio quale è Giovanni Frasi (del Giamaica Caffè di Verona) si vendeva caffè e pepe. Oggi lui , dopo aver scoperto i più rari caffè del mondo, s’è sulle tracce del pepe, traendone una conclusione: è un prodotto generalmente industrializzato. Il pepe non ha mediatori come il caffè e molto spesso i colori sono esiti di lavorazioni particolari. Per cui, attenzione: il pepe verde è il frutto acerbo e la sua evoluzione, una maturo, lo fa essere rossastro, il pepe bianco è quello lavato e depurato scorza esterna, previa macerazione in acqua e leggera essiccazione, il pepe nero, il più diffuso, è quello essiccato al sole, mentre il pepe rosa è assai raro e delicato, ma spesso assume quella colorazione per di una lavorazione che prevede la melassa.
In cucina il pepe assolutamente usato a crudo, e possibilmente macinato sul momento: il pepe in cottura sprigiona un gusto che tendere all’amaro. Fanno i grani interi, che si utilizzano nei lessi e nei brodi e che sviluppano l’aroma nel corso di un’ora di cottura. Della familiarità del pepe con le nostre pietanze è inutile parlare. Va bene su carni, paste, brodi, risotti, fondute e formaggi.
Paolo Massobrio, “Avvenire”, 18 febbraio 2005